Volume 6

Edizione Giuntina
    fra le foglie dell'albero, rendono lume ai legati e pare che vadano
    loro sciogliendo i legami con la virtù e grazia che hanno da colei
    donde procedono. In cielo poi, cioè nel più alto della tavola, sono
    due putti che tengono in mano alcune carti, nelle quali sono scritte
5   queste parole: QUOS EVAE CULPA DAMNAVIT MARIAE GRATIA SOLVIT.
    Insomma, io non avea fino allora fatto opera, per quello che mi ricor-
    da, né con più studio né con più amore e fatica di questa: ma tuttavia,
    se bene satisfeci a altri per aventura, non satisfeci già a me stesso,
    comeché io sappia il tempo, lo studio e l'opera ch'io misi partico-
10   larmente negl'ignudi, nelle teste, e finalmente in ogni cosa. Mi diede
    messer Bindo per le fatiche di questa tavola trecento scudi d'oro; et
    inoltre, l'anno seguente mi fece tante cortesie et amorevolezze in casa
    sua in Roma, dove gli feci in un piccol quadro, quasi di minio, la pit-
    tura di detta tavola, che io sarò sempre alla sua memoria ubbligato.
15   Nel medesimo tempo ch'io feci questa tavola, che fu posta, come
    ho detto, in S. Apostolo, feci a messer Ottaviano de' Medici una
    Venere et una Leda con i cartoni di Michelagnolo; et in un gran
    quadro un San Girolamo, quanto il vivo, in penitenza, il quale, con-
    templando la morte di Cristo che ha dinanzi in sulla croce, si per-
20   cuote il petto per scacciare della mente le cose di Venere e le tenta-
    zioni della carne che alcuna volta il molestavano, ancorché fusse nei
    boschi e luoghi solinghi e salvatichi, secondo che egli stesso di sé
    largamente racconta. Per lo che dimostrare, feci una Venere che con
    Amore in braccio fugge da quella contemplazione, avendo per mano
25   il Giuoco et essendogli cascate per terra le frecce et il turcasso, sen-
    zaché le saette, da Cupido tirate verso quel Santo, tornano rotte verso
    di lui, et alcune che cascano gli sono riportate col becco dalle colombe
    di essa Venere. Le quali tutte pitture, ancora che forse allora mi
    piacessero e da me fussero fatte come seppi il meglio, non so quanto
30   mi piacciano in questa età. Ma, perché l'arte in sé è dificile, bisogna
    tòrre da chi fa quel che può. Dirò ben questo, però che lo posso dire
    con verità, d'avere sempre fatto le mie pitture, invenzioni e disegni,
    comunche sieno, non dico con grandissima prestezza, ma sì bene con
    incredibile facilità e senza stento. Di che mi sia testimonio, come ho
35   detto in altro luogo, la grandissima tela ch'io dipinsi in San Giovan-
    ni di Firenze in sei giorni soli, l'anno 1542, per lo battesimo del si-
    gnor don Francesco Medici, oggi principe di Firenze e di Siena.
    Ora, se bene io voleva dopo quest'opere andare a Roma per sati-
    sfare a messer Bindo Altoviti, non mi venne fatto. Perciò che chiamato
40   a Vinezia da messer Pietro Aretino, poeta allora di chiarissimo nome
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