Volume 6

Edizione Giuntina
    storia, dipinsi i tre Angeli (venendomi ciò fatto non so come) in una
    luce celeste che mostra partirsi da loro, mentre i raggi d'un sole gli
    circonda in una nuvola; de' quali tre Angeli il vecchio Abramo adora
    uno, se bene sono tre quelli che vede, mentre Sarra si sta ridendo e
5   pensando come possa essere quello che gl'è stato promesso, et Agar
    con Ismael in braccio si parte dall'ospizio. Fa anco la medesima luce
    chiarezza ai servi che apparecchiano, fra i quali alcuni, che non pos-
    sono sofferire lo splendore, si mettono le mani sopra gl'occhi e cer-
    cano di coprirsi: la quale varietà di cose, perché l'ombre crude et i
10   lumi chiari dànno più forza alle pitture, fecero a questa aver più rilie-
    vo che l'altre due non hanno, e, variando di colore, fecero effetto mol-
    to diverso. Ma così avess'io saputo mettere in opera il mio concetto,
    come sempre con nuove invenzioni e fantasie sono andato, allora e
    poi, cercando le fatiche et il difficile dell'arte! Quest'opera dunque,
15   comunche sia, fu da me condotta in otto mesi, insieme con un fregio
    a fresco et architettura, intagli, spalliere, tavole et altri ornamenti di
    tutta l'opera e di tutto quel refettorio; et il prez[z]o di tutto mi con-
    tentai che fusse dugento scudi, come quelli che più aspirava alla glo-
    ria che al guadagno. Onde messer Andrea Alciati mio amicissimo,
20   che allora leggeva in Bologna, vi fece far sotto queste parole:
    OCTONIS MENSIBUS OPUS AB ARETINO GEORGIO PICTUM NON TAM
    PRAECIO QUAM AMICORUM OBSEQUIO ET HONORIS VOTO. ANNO
    1539. PHILIPPUS SERRALIUS PON. CURAVIT.
    Feci in questo medesimo tempo due tavolette d'un Cristo morto e
25   d'una Ressurrezzione, le quali furono da don Miniato Pitti abate poste
    nella chiesa di Santa Maria di Brarbiano, fuor di San Gimignano di
    Valdelsa. Le quali opere finite, tornai sùbito a Fiorenza, perciò che
    il Trevisi, maestro Biagio et altri pittori bolognesi, pensando che io
    mi volessi acasare in Bologna e tòrre loro di mano l'opere et i lavori,
30   non cessavano d'inquietarmi: ma più noiavano loro stessi che me, il
    quale di certe lor passioni e modi mi rideva.
    In Firenze adunque copiai da un ritratto grande infino alle ginoc-
    chia un cardinale Ipolito a messer Ottaviano, et altri quadri, con i
    quali mi andai trattenendo in que' caldi insoportabili della state; i
35   quali venuti, mi tornai alla quiete e fresco di Camaldoli per fare la
    detta tavola dell'altar maggiore. Nella quale feci un Cristo che è
    deposto di croce, con tutto quello studio e fatica che maggiore mi fu
    possibile; e perché col fare e col tempo mi pareva pur migliorare
    qualche cosa, né mi sodisfacendo della prima bozza, gli ridetti di mestica
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