Volume 6

Edizione Giuntina
    di noi i disegni d'ogni cosa, non disegnava il giorno l'uno quello
    che l'altro, ma cose diverse; di notte poi ritraevamo le carte l'uno
    dell'altro, per avanzar tempo e fare più studio: per non dir nulla che
    le più volte non mangiavamo la mattina, se non così ritti, e poche
5   cose.
    Dopo la quale incredibile fatica, la prima opera che m'uscisse di
    mano, come di mia propria fucina, fu un quadro grande, di figure
    quanto il vivo, d'una Venere con le Grazie che la adornavano e face-
    van bella, la quale mi fece fare il cardinale de' Medici; nel qual qua-
10   dro non accade parlare, perché fu cosa da giovanetto, né io lo toc-
    cherei, se non che mi è grato ricordarmi ancor di que' primi princi-
    pii e ' molti giovamenti nel principio dell'arti. Basta che quel signore
    et altri mi diedero a credere che fusse un non so che di buon principio
    e di vivace e pronta fierez[z]a. E perché fra l'altre cose vi avea fatto
15   per mio capriccio un Satiro libidinoso, il quale, standosi nascosto fra
    certe frasche, si rallegrava e godeva in guardare le Grazie e Venere
    ignude, ciò piacque di maniera al cardinale, che, fattomi tutto di
    nuovo rivestire, diede ordine che facessi in un quadro maggiore, pur
    a olio, la battaglia de' Satiri intorno a Fauni, silvani e putti, che quasi
20   facessero una Baccanalia; per che, messovi mano, feci il cartone e do-
    po abbozzai di colori la tela, che era lunga dieci braccia. Avendo poi a
    partire il cardinale per la volta d'Ungheria, fattomi conoscere a papa
    Clemente, mi lasciò in protezione di Sua Santità, che mi dette in cu-
    stodia del signor Ieronimo Montaguto, suo maestro di camera, con
25   lettere che, volendo io fuggire l'aria di Roma quella state, io fussi
    riceuto a Fiorenza dal duca Alessandro: il che sarebbe stato bene
    che io avessi fatto, perciò che, volendo io pure stare in Roma, fra i
    caldi, l'aria e la fatica, amalai di sorte, che per guarire fui forzato a
    farmi portare in ceste ad Arezzo. Pure, finalmente guarito, intorno alli
30   X del dicembre vegnente, venni a Fiorenza, dove fui dal detto Duca
    ricevuto con buona cera, e poco appresso dato in custodia al magni-
    fico messer Ottaviano de' Medici; il quale mi prese di maniera in
    protezzione, che sempre, mentre visse, mi tenne in luogo di figliuolo:
    la buona memoria del quale io riverirò sempre e ricorderò come d'un
35   mio amorevolissimo padre.
    Tornato dunque ai miei soliti studii, ebbi comodo, per mezzo di
    detto signore, d'entrare a mia posta nella Sagrestia Nuova di San Lo-
    renzo, dove sono l'opere di Michelagnolo, essendo egli di quei giorni
    andato a Roma; e così le studiai per alcun tempo con molta diligenza
40   così come erano in terra. Poi messomi a lavorare, feci in un quadro di
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