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d'Arezzo, ch'erano le manco buone. Donato e Filippo, visto la diligenzia |
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e lo amore che Lorenzo aveva usata nell'opra sua, si tiroron da un canto, |
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e parlando fra loro risolverono che l'opera dovesse darsi a Lorenzo, |
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parendo loro che il publico et il privato sarebbe meglio servito, e Lorenzo, |
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essendo giovanetto che non passava XX anni, arebbe, nello esercitarsi, a |
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fare in quella professione que' frutti maggiori che prometteva la bella |
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storia che egli a giudizio loro aveva più degli altri eccellentemente con- |
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dotta, dicendo che sarebbe stato più tosto opera invidiosa a levargliela che |
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non era virtuosa a fargliela avere. E così entrati Filippo e Donato nella |
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Udienza dove sedevano i Consoli, parlò Filippo in questa forma: «Lo |
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sperimento che avete fatto di tanti eccellenti maestri, signori Consoli, è |
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stato molto aùpproposito, avendo noi veduto la differenza delle maniere, |
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e colui che sia più atto a fare onore alla nostra città. E poi ch'egli ci è |
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venuto per sorte che ne stavamo Donato et io in dubbio che questi fore- |
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stieri non avessino a passare i maestri della città nostra - anzi abbiamo |
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visto che l'opere loro restano inferiori di invenzioni, di disegno e di getto, |
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e finite sono manco che le nostre -, abbiamo giudicato infra di noi che |
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prima Lorenzo Ghiberti sia quello a cui si debba dare il pregio di questo |
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onore, e poscia il lavoro delle porte. Perché egli essendo giovane e volen- |
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toroso dello acquistar fama,farà, seguitando, opera tale che, non solo |
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come ha passato ora tutti questi artefici, vincerà ogni giorno se medesimo. |