Volume 6

Edizione Giuntina
    messer Cosimo Bartoli, che dovessi farla stampare e dirizzare a Mi-
    chelagnolo, finita che ella fu, in que' dì la mandò il Vasari a Michela-
    gnolo, che, ricevuta, rispose così:
    Messer Giorgio amico caro. Io ho ricevuto il libretto di messer Cosimo
5   che voi mi mandate, et in questa sarà una di ringraziamento; pre-
    govi che gliene diate, et a quella mi raccomando.
    Io ho avuto a questi dì, con gran disagio e spesa, un gran piacere nelle
    montagne di Spuleti a visitare que' romiti, in modo che io son
    ritornato men che mezzo a Roma, perché veramente e' non si trova
10   pace se non ne' boschi. Altro non ho che dirvi; mi piace che stiate sano
    e lieto, e mi vi raccomando. De' 18 di settembre 1556.
    Lavorava Michelagnolo quasi ogni giorno per suo passatempo in-
    torno a quella Pietà che s'è già ragionato, con le quattro figure, la
    quale egli spezzò in questo tempo per queste cagioni: perché quel
15   sasso aveva molti smerigli et era duro e faceva spesso fuoco nello scar-
    pello; o fusse pure che il giudizio di quello uomo fussi tanto grande
    che non si contentava mai di cosa che e' facessi: e che e' sia il vero,
    delle sue statue se ne vede poche finite nella sua virilità, ché le finite
    affatto sono state condotte da lui nella sua gioventù, come il Bacco,
20   la Pietà della Febre, il Gigante di Fiorenza, il Cristo della Minerva,
    che queste non è possibile né crescere né diminuire un grano di panico
    senza nuocere loro. L'altre del duca Giuliano e Lorenzo, Notte e Au-
    rora, e 'l Moisè con l'altre dua in fuori - che non arrivano tutte a un-
    dici statue -, l'altre, dico, sono [re]state imperfette, e son molte mag-
25   giormente, come quello che usava dire che, se s'avessi avuto a con-
    tentare di quel che faceva, n'arebbe mandate poche, anzi nessuna, fuo-
    ra, vedendosi che gli era ito tanto con l'arte e col giudizio innanzi, che,
    com'egli aveva scoperto una figura e conosciutovi un minimo che d'er-
    rore, la lasciava stare e correva a manimettere un altro marmo, pen-
30   sando non avere a venire a quel medesimo; et egli spesso diceva es-
    sere questa la cagione che egli diceva d'aver fatto sì poche statue e
    pitture. Questa Pietà, come fu rotta, la donò a Francesco Bandini. In
    questo tempo Tiberio Calca[g]ni, scultore fiorentino, era divenuto mol-
    to amico di Michelagnolo per mezzo di Francesco Bandini e di messer
35   Donato Giannotti; et essendo un giorno in casa di Michelagnolo, dove
    era rotta questa Pietà, dopo lungo ragionamento li dimandò per che
    cagione l'avessi rotta e guasto tante maravigliose fatiche. Rispose es-
    serne cagione la importunità di Urbino suo servidore, che ogni dì lo
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