Volume 5

Edizione Giuntina
    del re di Portogallo, andò a star seco, e gli fece una tela
    con forse venti ritratti di naturale, tutti suoi familiari et amici, e lui
    in mezzo di loro a ragionare; la quale opera tanto piacque a don
    Martino, che egli teneva Domenico per lo primo pittore del mondo.
5   Essendo poi fatto don Ferrante Gonzaga viceré di Sicilia, e deside-
    rando per fortificare i luoghi di quel regno d'avere appresso di sé
    un uomo che disegnasse e gli mettesse in carta tutto quello che an-
    dava giornalmente pensando, scrisse a don Martino che gli prove-
    desse un giovane che in ciò sapesse e potesse servirlo, e quanto prima
10   glielo mandasse. Don Martino adunque, mandati prima certi disegni
    di mano di Domenico a don Ferrante (fra i quali era un Colosseo,
    stato intagliato in rame da Girolamo Fagiuoli bolognese per Antonio
    Salamanca, che l'aveva tirato in prospettiva Domenico; et un vec-
    chio nel carruccio disegnato dal medesimo e stato messo in stampa,
15   con lettere che dicono: ANCORA IMPARO ; et in quadretto il ritratto di
    esso don Martino), gli mandò poco appresso Domenico, come volle
    il detto signor don Ferrante, al quale erano molto piacciute le cose
    di quel giovane.
    Arrivato dunque Domenico in Sicilia, gli fu assegnata orrevole
20   provisione e cavallo e servitore a spese di don Ferrante; né molto
    dopo fu messo a travagliare sopra le muraglie e fortezze di Sicilia;
    là dove lasciato a poco a poco il dipignere, si diede ad altro, che gli
    fu per un pezzo più utile, perché servendosi, come persona d'inge-
    gno, d'uomini che erano molto a proposito per far fatiche, con tener
25   bestie da soma in man d'altri, e far portar rena, calcina e far fornaci,
    non passò molto che si trovò avere avanzato tanto, che poté compe-
    rare in Roma ufficii per duemila scudi, e poco appresso degl'altri.
    Dopo, essendo fatto guardaroba di don Ferrante, avenne che quel
    signor fu levato dal governo di Sicilia e mandato a quello di Milano;
30   per che andato seco Domenico, adoperandosi nelle fortificazioni di
    quello stato, si fece, con l'essere industrioso et anzi misero che no,
    ric[c]hissimo; e che è più, venne in tanto credito, che egli in quel
    reggimento governava quasi il tutto. La qual cosa sentendo Niccolò,
    che si trovava in Arezzo già vecchio, bisognoso e senza avere alcuna
35   cosa da lavorare, andò a ritrovare Domenico a Milano, pensando che
    come non aveva egli mancato a Domenico quando era giovanetto,
    così non dovesse Domenico mancare a lui, anzi servendosi dell'opera
    sua là dove aveva molti al suo servigio, potesse e dovesse aiutarlo in
    quella sua misera vecchiezza. Ma egli si avide con suo danno che
40   gl'umani giudicii, nel promettersi troppo d'altrui, molte volte s'ingannano,
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